Superare un confine fisico frena il nostro passo, un alambrado (recinzione), delimita un territorio e la mente frena il piede, crea dubbi, domande: posso? Pericoli? Limiti? Il passo è breve, ci sono queste quattro linee di filo di ferro sostenute da pali equidistanti e tenute separate da fluttuanti pezzi di legno di forma quadrangolare da scavalcare, per ritrovarsi in nuovi spazi. I limiti creatisi nella mente si dissolvono, lasciando spazio al desiderio di vedere, esplorare. La meta è ben fissata sulla carta topografica, ma il percorso si modella pian piano e dà sempre nuovi scorci panoramici, le tracce appena accennate del passaggio di un branco di guanaco diventano il percorso stesso. Sei giorni di cordigliera Patagonica al di fuori dai percorsi tradizionali, unico punto di appoggio un avamposto del parco nazionale Los Glaciares, a tre giorni di valli, valichi e cime dalle sponde del lago argentino e altri tre prima di raggiungere la meta, il lago Viedma. Le tracce logiche di transumanza dei branchi sono i sentieri dei prossimi giorni, il GPS mi dà i punti fissi creati sulla mappa a tavolino, ma nuovi orizzonti colpiscono il mio interesse e indirizzano il passo alla scoperta di angoli nascosti, riprendendo in un altro punto la traccia guida.

Mi sento come un cacciatore di altri tempi che segue le tracce del branco allo scopo di procacciarsi il cibo, ma le mire sono diverse e i miei fabbisogni sono tutti all’interno dello zaino che mi porto in spalla; egualmente tasto le impronte per rendermi conto se la traccia è recente e di quale specie si tratta. Di quando in quando incontro un bivio, tracce che si intersecano instillandomi un dubbio su quale privilegiare, il GPS mi da il suo parere elettronico e quindi scelgo una e non l’altra, accorgendomi che da li a poco si sarebbero riunite. Un pascolo più verde, una sorgente a cui abbeverarsi avrà diviso il branco, o erano solo percorsi diversi di branchi distinti ma con la stessa meta. Tracce diverse si innestano su quelle che sto seguendo, mi accorgo di non essere l’unico a seguire il branco anzi qualcosa mi ha anticipato. Queste tracce sulle prime frenano il mio passo, un altro alambrado invisibile, tracce profonde ben marcate di polpastrelli carnosi. Predatore locale, il puma non sarebbe un incontro tra i più felici, men che meno una madre con i propri cuccioli. La stagione e il periodo sarebbero quelli giusti.

Il mio camminare si fa più guardingo, da predatore a preda il passo è breve. Il passare del tempo mi dà la sensazione che un incontro non sia desiderio comune. Il puma è nel suo ambiente io solo di passaggio furtivo. E in questo modo dimostra più giudizio della mia curiosità, sa bene come rimanere nel suo anonimato e sono certo che è si è accorto di me molto in anticipo rispetto a quando io mi sono accorto di lui. Finalmente le azzurre acque del lago Viedma dove si specchiano i pilasti granitici del Fitz Roy e del Cerro Torre segnano la fine della mia avventura in spazi quasi inesplorati, oltre l’alambrado.

Mauro Tiozzo