La Val Darengo è una valle, sita nella parte meridionale della catena Mesolcinica, con il suo omonimo lago ai piedi di massicci granitici e creste dentellate, è una delle più belle dell’alto Lario occidentale. E’ la mia seconda visita in valle e questa volta l’intento è di effettuare un’escursione che avevo progettato da tempo, ma che condizioni meteo sfavorevoli o impegni di varia natura mi avevano sempre impedito di portare a termine: il giro ad anello partendo da Dangri a toccare i tre laghetti alpini lungo parte dell’Alta Via del Lario. Lasciata la macchina al Crotto Dangri (650 m) mi incammino lungo una mulattiera che sale in un bellissimo castagneto fino all’abitato di Baggio, formato da un gruppo di baite in mezzo a verdi pascoli dove è comune poter osservare capre e cavalli.
Il sentiero prosegue a mezzacosta quasi senza pendenza, a sinistra del sentiero si trova un dirupo sotto il quale scorre il torrente Darengo mentre guardando diritti si impone il Pizzo Cavregasco. Dopo un po’ di cammino nuovamente in salita arrivo ad alcune baite ed al rifugio Pianezza (1281m) che si può vedere dall’altra parte del torrente. Procedo invece dritto seguendo le indicazioni, passando ancora tra faggi, abeti e pascoli in una zona ricca di ruscelletti e sorgenti. Arrivato all’Alpe Darengo seguo i bolli rossi che salgono prima in un bosco di faggi, poi su una cresta molto ripida fino al rifugio Avert. Attraverso l’emissario del lago e salgo sul dosso dove sorge la Capanna Como (1790 m). In questa conca si trova anche il bellissimo lago di Darengo circondatato da pareti rocciose e creste frastagliate. Una breve sosta per fare uno spuntino e riparto seguendo i segnavia bianchi e rossi dell’Altavia del Lario. Intanto il tempo, incerto al mattino, non sembra migliorare, anzi dal fondo valle cumuli di nebbia salgono velocemente verso le cime che mi circondano. Incomincio a salire lentamente verso la Bocchetta San Pio (2183 m) e da qui cercando di mantenermi in quota, ma scendendo leggermente arrivo al Lago di Cavrig, la cui fama è legata a strane leggende di mostri lacustri . E’ fine maggio e il lago è ancora parzialmente ricoperto dal ghiaccio e solo in una piccola parte è possibile vederne il fondale attraverso le limpidissime acque. Da qui continuo sul sentiero che diventa man mano meno evidente e i bolli bianchi e rossi non sempre sono facilmente visibili. Ora dovrei scendere verso la Val d’Ingherina per poi risalire fino alla sella dell’Avertai e valicare nella Valle di Ledù. Ma il tempo è peggiorato incredibilmente e i continui banchi di nebbia e una sottile pioggia rendono difficile l’orientamento. Ormai ho perso il sentiero e decido di tenermi il più alto possibile sperando di rincontrare i segnavia dell’Alta Via ed è così che arrivo sulla cresta spartiacque e mi si apre un bellissimo panorama sulla Val Bodengo. Guardo la carta e capisco di essere salito troppo, mi abbasso di un paio di centinaia di metri. Si alternano momenti di scarsa visibilità a momenti in cui fatico a vedere alla distanza di due metri, sarei tentato di tornare indietro… Decido di fare un ultimo sforzo e quasi a tentoni nella nebbia mi muovo con cautela su massi, roccette e tratti innevati lungo diversi saliscendi. Ad un certo punto ecco che intravedo nella nebbia la sagoma rossa della piccola costruzione in lamiera del bivacco Petazzi (2245 m). Entro nel piccolo bivacco e per cambiare i vestiti bagnati e mangiare qualcosa per rinfrancarmi della fatica fatta e delle pessime condizioni meteo. Decido di fare un visita al lago Ledù che si trova poco più in alto, proprio alle spalle del bivacco. Che dire, ne intuisco il perimetro e la superficie coperta di neve ma la nebbia è talmente fitta che se non sapessi che si trova proprio in quella posizione non potrei giurare di averlo visto.
Finalmente incomincio a scendere verso la Val Darengo ed ecco anche che incomincia a piovere decisamente. La discesa è molto ripida e su terreno scivoloso, fino ad un alpeggio. Da qui si entra in un bosco di faggi e le tracce di sentiero si fanno via via più deboli. Decido di scendere per la massima pendenza avendo ormai perso anche quelle scarse tracce. Arrivato al torrente che scende lungo la Val Darengo mi rendo conto che il ponte per attraversarlo è molto più in giù, perciò essendo già completamente zuppo decido di guadarlo così come sono senza neanche levare gli scarponi. Finalmente riprendo la comoda mulattiera dell’andata e nel giro di un’ora e mezza sono alla macchina. Dopo circa otto ore di cammino e più di 1600 metri di dislivello saliti, completamente bagnato, mi dirigo verso casa felice di aver passato una splendida giornata tra queste montagne così selvagge ed impervie ma allo stesso tempo così irresistibilmente ricche di fascino.
Jacopo Zezza